giorgiolupattelli

L’universo di Giorgio Lupattelli, tra arte, musica, scienza e psiche

intervista di Stefano Buda

in occasione della mostra “Brain Damage” Galleria Betta Frigieri - Modena (www.artitude.eu - 2011)


Giorgio Lupattelli muove i primi passi nel mondo dell’arte alla fine degli anni ottanta. Nasce come pittore e successivamente indirizza la sua ricerca verso la scultura, la fotografia, il video e l’installazione. Incontriamo l’artista umbro mentre è in corso, alla Galleria Betta Frigieri di Modena, la sua ultima personale.


Partiamo dal titolo della mostra, che è anche la citazione di un brano cult dei Pink Floyd: Brain damage. Come mai questa scelta ?


Il titolo significa “danni cerebrali”, trae origine dal celebre brano contenuto nell’album The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, ma è anche un pezzo che fa parte dell’album di esordio di Eminem. I Pink Floyd sono tra i precursori del movimento psichedelico e il loro fondatore Syd Barrett, già in crisi depressiva, impazzì per l’abuso di Lsd. Eminem nel suo percorso musicale ha ripetutamente parlato dei suoi problemi legati alla dipendenza da droghe e medicinali e delle sue continue depressioni, da cui pare sia riuscito a venir fuori. Tutto questo mi ha fornito degli input per ragionare su come, nella odierna società, siamo diventati tutti, chi più chi meno, dipendenti da farmaci e droghe. Il più delle volte per sfuggire al senso di vuoto, all’insoddisfazione e alle incertezze...


Le citazioni musicali non si esauriscono nel titolo e sono disseminate in buona parte delle opere. Da cosa deriva questa particolare sensibilità?


E’ vero, tutto il mio lavoro abbonda di citazioni. Prevalentemente perché appartengo

a quella generazione di artisti che per prima ha scelto di osservare il mondo intorno

a noi utilizzando in abbondanza quel filtro sempre più vasto costituito dall’universo

della comunicazione e dei media, vero emblema degli ultimi decenni. La musica, in particolare, ha sempre rappresentato per me un ambito privilegiato e il mio lavoro è una versione visuale di molta arte musicale. Spesso, con i video, cerco di unificare questa dualità. Sono molti gli artisti musicali che fanno da collante per il mio lavoro a livello di tecnica, ritmo e tematiche. Recentemente ho trovato affinità stilistiche con alcuni artisti Hip-Hop come Eminem, sia perché sul piano dei contenuti sono diventati l’equivalente dei cantautori impegnati degli anni ‘70/’80, sul genere Dylan, Lennon, Springsteen e

De Andrè, sia per il sound che fa largo uso del recupero e remix di materiale di scarto proveniente da svariate fonti, proprio come nelle mie opere.


In Brain Damage disegno, pittura, video e installazione si fondono con la musica, ma anche con la scienza. Come avviene questa particolare alchimia ?


Ho sempre ricercato una fusione tra tutti gli aspetti della creatività e ho riservato una particolare attenzione alla scienza, anche per via della mia formazione culturale. Per questa mostra ho tratto spunto da Elogio dell’imperfezione, un trattato di Rita Levi Montalcini in cui la scienziata scrive: “L’imperfezione ha da sempre consentito continue mutazioni di quel meraviglioso e quanto mai imperfetto meccanismo che è il cervello dell’uomo. Ritengo che l’imperfezione sia più consona alla natura umana che non la perfezione... L’imperfezione è dunque una componente fondamentale dell’evoluzione. Dagli anfibi all’Homo Sapiens, il cervello dei vertebrati si è sempre prestato a un miglioramento, a un cambiamento, mentre negli invertebrati è nato così perfetto da non entrare nel gioco delle mutazioni”. La Montalcini, che peraltro aveva una gemella

artista, afferma anche: “Il fondamento della creatività è lo stesso in un artista e in uno scienziato, c’è lo stesso gusto per la ricerca e c’è la passione”. Queste riflessioni mi hanno portato a considerare che la quasi totalità delle menti più creative della storia, dalla scienza all’arte, corrispondono a quelle che gli psichiatri considerano conseguenza o causa di buona parte delle più gravi depressioni. Gli elementi indispensabili all’originalità del pensiero sono gli stessi tipici delle forme maniacali: l’ossessione, il perfezionismo e un alto livello di energia. Inoltre molto spesso la genialità è scambiata dai contemporanei per un’inutile stranezza, se non addirittura per stupidità o follia. Tutto ciò ha ispirato il ciclo dei lavori Pills of the mine, in cui 10 personaggi “imperfetti” dell’arte e della scienza sono collocati dentro alle scatole dei più celebri farmaci per la mente.


Per concludere, quali messaggi lancia, nel suo insieme, la mostra Brain damage ?


L’installazione con i ritratti dei personaggi nelle scatole dei farmaci ci dice che le patologie vere o presunte non solo possono essere affrontate, ma talvolta rappresentano solo un sintomo di inadeguatezza da cui ci si può riscattare. I personaggi proposti sono l’esempio di chi, pur con problemi, ha trasformato le proprie “imperfezioni” in una vincente energia creativa. Quindi l’arte può essere una terapia, un farmaco per la mente e per i malanni della nostra società, non solo per chi la pratica, ma anche per chi ne fruisce. Il lavoro che chiude la mostra (il video Bit) ci invita a riflettere sul senso della vita: una serie di interventi chirurgici fanno da sfondo visivo al testo tratto da Lettera

a un bambino mai nato, letto dall’autrice Oriana Fallaci. L’opera è introdotta da un

mio autoritratto con la mascherina medica e una macchina per la Tac sullo sfondo. Potrei essere sia un medico che un paziente e l’interpretazione è volutamente aperta. D’altronde come artista rappresenterei il medico, come uomo sono decisamente il paziente, visto che proprio in questo periodo sto affrontando le cure per la recidiva di un Linfoma di Hodgkin che avevo già combattuto 9 anni fa.





The universe of George Lupattelli between art, music, science and psyche


Giorgio Lupattelli toddler in the art world in the late eighties. Born as a painter and then directs its research towards the sculpture, photography, video and installation. Meet the Umbrian artist while you are at the Galleria Betti Frigieri of Modena, his last solo.


We start with the title of the exhibition, which is also cited as a cult song of Pink Floyd: Brain damage. Why this choice?


The title means "brain damage", derives its name from the famous song from the album The Dark Side of the Moon by Pink Floyd, Be the first of your friends to but also a piece that is part of Eminelimke'sthdise.but. Pink Floyd are among the forerunners of the psychedelic movement and its founder Syd Barrett, already in crisis, depression, crazy for the abuse of LSD. Eminem in his musical journey has repeatedly talked about his problems with addiction to drugs and medicines and its ongoing depression, which seems to have managed to come out. All this gave me the input to think about how, in today's society, we have all become, more or less, dependent on drugs and drug use. Most of the time to escape the feeling of emptiness, dissatisfaction and uncertainty ...


The musical quotations are not limited to title and are scattered in many of the works. What comes from this particular sensitivity?


It 's true, all my work is full of quotations. Mostly because I belong to that generation of artists who first chose to observe the world around us in abundance using that filter consists of increasingly vast universe of communications and media, the true symbol of the last decades. The music, in particular, has always been a privileged for me and my work is a visual version of a lot of musical art. Often, with the video, I try to unify this duality. There are many music artists that are the glue for my work in terms of technique, rhythm and themes. Recently I found some stylistic affinities with artists like Eminem Hip-Hop, and because in terms of content have become the equivalent of the songwriters involved the '70 / '80, gender Dylan, Lennon, Springsteen and De Andrè, both for the which makes extensive use of sound recovery of waste material and remixes from various sources, just as in my work.


Brain Damage in drawing, painting, video and installazionesi blend with the music, but also with science. How does this particular alchemy?


I've always wanted a merger of all aspects of creativity and I paid particular attention to the science, but because of my education. For this exhibition I have drawn inspiration from In praise of imperfection, a treaty of Rita Levi Montalcini in which the scientist writes: "The flaw has always allowed continuous mutations of that wonderful and very imperfect mechanism that is the human brain. I believe that imperfection is more in keeping with human nature than the perfection ... imperfection is therefore a fundamental component of evolution. Homo Sapiens from amphibians, the brain of vertebrates has always provided an improvement, a change , while in invertebrates was born so perfect that the mutations do not enter the game. " The Montalcini, who also had a sister artist, also said: "The basis of creativity is the same as an artist and a scientist, there is the same zest for research and a passion." These reflections led me to conclude that almost all of the most creative minds in history, from science to art, correspond to those that psychiatrists consider consequence or cause of much of the worst depressions. The elementsI needed to originality of thought are the same as typical of mania: an obsession, perfectionism and a high energy level. In addition, the genius is often mistaken for a useless oddity by his contemporaries, if not for stupidity or insanity. This has inspired the work cycle Pills of the mine, where 10 people "imperfect" art and science are placed inside the boxes of the most popular drugs for the mind.


Finally, what messages launches as a whole, the shows Brain damage?


The installation with the portraits of the characters in the boxes of medicines tells us that the real or presumed conditions not only can be addressed, but sometimes are just a symptom of inadequacy from which you can redeem. The characters are offered the example of someone who, despite problems, has turned its "imperfections" in a winning creative energy. So art can be therapy, a drug for the mind and for the ills of our society, not only for its practitioners, but also for those who benefit. The work that closed the show (the video Bit) invites us to reflect on the meaning of life: a series of surgeries are the backdrop to visual text from the Letter to a Child Never Born, read by the author Oriana Fallaci. The book is introduced by a self- portrait with my medical mask and a machine for Tac in the background. I could be both a doctor and a patient's interpretation is deliberately open. On the other hand as an artist representing the doctor, as a man are very patient, since at this time I'm facing treatment for a recurrence of Hodgkin's lymphoma who had already fought nine years ago.




BRAIN DAMAGE

2010. Betta Frigieri Arte Contemporanea (MODENA)

Navigando nel database dell'uomo

di Luca Panaro

Ormai viviamo in un tempo in cui l'immagine si è gradualmente sostituita alla realtà, siamo sempre più immersi nel variegato mondo della comunicazione, le nostre finestre sono sostituite da schermi televisivi come nel film Fahrenheit 451 di François Truffaut. I modelli estetici imposti da campagne pubblicitarie ci portano a riconsiderare il rapporto con il nostro corpo, e internet negli ultimi anni ha dato una forte accelerazione a questo processo. In altre parole le nostre conoscenze ed i nostri attuali valori si fondano essenzialmente su osservazioni e contaminazioni virtuali, piuttosto che basarsi su esperienze di vita reale.

Giorgio Lupattelli è un testimone diretto della nostra epoca, come artista non può prescindere da certe considerazioni, il suo lavoro infatti è il frutto di continui salti nel mondo della moda, del cinema, della televisione, della pubblicità, della musica, della religione e della scienza, si impossessa della storia e degli usi e costumi dell'umanità. La sua riflessione verte principalmente sulla tendenza dell’uomo contemporaneo alla manipolazione genetica e quindi alla resistenza della vita alla morte. L'artista si muove con grande abilità in questo oceano di stimoli visivi, plasmando di volta in volta quello che più lo colpisce, ma orientando la sua ricerca principalmente sull'uomo, sulle sue origini, la sua storia e il suo destino. A questo proposito è significativa la parte iniziale di Freon, un video dove Lupattelli inserisce una scena tratta dal film Il settimo sigillo di Ingmar Bergman: «voglio sapere fin a che punto saprò resistere e se dando scacco alla morte avrò salva la vita», dice il cavaliere a un personaggio alquanto misterioso. «Chi sei?», gli chiede il cavaliere. E il personaggio risponde: «Sono la morte». La Morte è venuta a prenderlo, ma in cambio di una partita a scacchi questi riesce ad ottenere una dilazione al compimento del proprio destino. A seguire, come in tutto il lavoro di Lupattelli, un susseguirsi di immagini “rubate” dai mezzi di comunicazione della nostra società.

L'artista legge l'attuale cultura come il frutto di un radicale cambiamento estetico, che mescola insieme fotografia, cinema, televisione per giungere fino all’odierna immagine informatizzata, ordinata in motori di ricerca e comunità virtuali. Seguendo la teoria di Ervin Panofsky, che vide nella prospettiva lineare una “forma simbolica” dell’era moderna, Lev Manovich ha definito il database come la nuova forma simbolica dell’epoca contemporanea

L'archivio dunque come espressione culturale caratterizzante il nostro tempo, dentro al quale fare “zapping”, come si diceva qualche anno fa parlando di televisione, oggi diremmo piuttosto “navigare” da una pagina all'altra del grande database di contenuti che troviamo sul web. Volendo brevemente risalire alla origini di questo mondo fatto per immagini, assemblate in un nuovo spazio alternativo alla realtà, potremmo scomodare addirittura l'opera di Pablo Picasso che anticipò questa modalità operativa servendosi del collage, prendendo dalla realtà dei ritagli di giornale, spartiti musicali, carta da parati e quant’altro potesse incollare sulla tela. Che l’arte del Novecento abbia adottato concettualmente la logica del database lo testimonia anche la più grande intuizione artistica prodotta da questo secolo: il ready-made. Scegliendo prodotti industriali di uso comune, Marcel Duchamp si limitò ad indicare come opera d’arte una serie di oggetti già fatti: una ruota di bicicletta (Roue de bicyclette, 1913), uno scolabottiglie (Egouttoir, 1914), un badile da neve (In Advance of the Broken Arm, 1915), un orinatoio in porcellana (Fontaine, 1917) e tanti altri. L’artista francese può essere visto come una sorta d’internauta ante litteram, alla continua ricerca di oggetti di suo interesse, come oggi si fa abitualmente rovistando fra le informazioni multimediali ricercate su Google o YouTube. In seguito, nella seconda metà del Novecento, sarà Andy Warhol a continuare quest’esplorazione all’interno di una vasta quantità di informazioni preconfezionate. Mentre il database di Duchamp era composto di oggetti, quello di Warhol lo sarà d’immagini. Già dagli anni Sessanta quindi possiamo parlare di una società costruita intorno a un grande archivio mediale, che l'artista utilizza a suo piacimento, ingrandendo, moltiplicando e trasformando in opera d’arte capi di stato (Mao), dive di Hollywood (Marilyn Monroe), pericolosi criminali (Thirteen Most Wanted Men), bibite (Coca Cola Bottles), cibo in scatola (Campbell’s Tomato Soup), detersivi (Brillo Boxes), incidenti stradali (Ambulance Disastrer Two Times), dipinti (Botticelli’s Venus) e tante altre immagini già esistenti e mitizzate. Quest’operazione di prelievo fotografico dai mass-media è probabilmente la strada più seguita dalle generazioni successive di artisti, negli anni Ottanta l'attenzione su questa modalità cresce a tal punto da far parlare di un vero e proprio “impulso archivistico” o una “febbre d’archivio”, come l’hanno definita rispettivamente i critici d'arte Hal Foster e Okwui Enwezor. La fotografia, il cinema, la televisione del passato e del presente vengono presi d’assalto da molti artisti contemporanei in tutto il mondo, in loro cresce l’esigenza di confrontarsi con un database d'immagini mediali. E' in questo scenario che si colloca l'opera di Giorgio Lupattelli; proprio negli anni Ottanta muove i primi passi abbozzando quella che dai primi del Novanta sarà la sua cifra stilistica. Inizialmente è soprattutto la pittura a caratterizzare la sua ricerca, poi progressivamente si dedica alla scultura, alla fotografia, al video e oggi sempre più all'installazione ambientale, dove convivono assieme tutte le altre discipline. L'artista indaga con scrupolo l'uomo contemporaneo, come si evolve il suo pensiero, di quali protesi tecnologiche si serve, oppure semplicemente “dove” sta andando, come anni fa esplicitava nei suoi dipinti marchiati dalla parola “where”. La sfida di Lupattelli è quella di raccogliere immagini e concetti apparentemente differenti la cui unione però genera nuovi significati, l'insegnamento di Duchamp e Warhol è portato all'estremo, l’autore perde sempre più il ruolo di creatore per trasformarsi in ricercatore di “strutture di significazione”.




Surfing in Man’s Database

by Luca Panaro

We are living in times where imagine is gradually substituting reality. We are more and more merged in the variegated world of communication. TV screens are in place of our windows just like in the movie Fahrenheit 451 by François Truffaut. The aesthetical models imposed by publicity campaign take us to reconsider the relation with our body. In the last few years Internet has given an acceleration to this process. In other words our knowledge and our current values are essentially based on virtual observations and contaminations rather than on real life experiences.

Giorgio Lupattelli is a direct witness of our time. As an artist he can not leave aside some considerations. In fact his work is fruit of continuous leaps in the world of fashion, cinema, TV, publicity, music, religion and science. He gets hold of the history of man, his uses and habits. His thought mainly deals with the contemporary man tendency to genetic manipulation and then to the resistance of life on death. The artist moves with a great ability in this ocean of visual stimuli time after time moulding what affects him most, but steering his search on man, on his origin, his history and his destiny. To this end it is meaningful the starting point of Freon, a video where Lupattelli inserts a scene taken from the movie The Seventh Seal by Ingmar Bergman: “I would like to know how long I could resist and if I would save my life by checkmating death”, says the knight to a quite mysterious character. “Who are you?” asks the knight. The character says: “I am death”. Death has come to take him away but in exchange for a chess the knight succeeds in delay the accomplishment of his destiny. Later on images “stolen” by our society mass media follow one after the other as it is in Lupattelli’s whole work.

The artist reads the current culture as the fruit of a radical aesthetic change. From photography, cinema and television up to the present computerized image filed through search engines and virtual communities, all is mixed up. According to Ervin Panofsky’s theory, who saw in the linear perspective a “symbolic form” of modern era, Lev Manovich defined the database as the new symbolic form of the contemporary time. Then the archive is a cultural expression characterising our time where we can “zap” as we used to say some years ago talking about television. Nowadays we would rather say “surfing” from one page to the other in the big contents database on the web.

Going back to the origin of this world, made of images assembled in a space alternative to reality, we could even bother Pablo Picasso. In fact he anticipated this operation by using the collage, taking from reality some press clippings, music score, wall paper and all what he could glue on the canvas. In the 20th century art adopted, conceptually, the database logic. There are evidences in the greatest artistic intuition produced in the age: the ready-made. By choosing industrial product with a common use, Marcel Duchamp did nothing but chose as work of art a series of already made objects: a bike’s wheel (Roue de bicyclette, 1913), a bottle rack (Egouttoir, 1914), a snow shovel (In Advance of the Broken Arm, 1915), a china urinal (Fontaine, 1917) and many others. The French artist can be seen as an internaut ante litteram continuously searching for interesting objects such as we are doing today rummaging among the multimedia information on Google or YouTube.

Then, in the second half of the 20th century Andy Warhol will continue this exploration inside a huge quantity of pre-packed information. While Duchamp’s database saw objects, Warhol’s will collect images. Since the Sixties we can talk about a society built on a big medial archive used by the artist to his liking, magnifying, multiplying and transforming into works of art heads of state (Mao), Hollywood stars (Marilyn Monroe), dangerous criminals (Thirteen Most Wanted Men), drinks (Coca Cola Bottles), canned food (Campbell’s Tomato Soup), washing-up powder (Brillo Boxes), road accidents (Ambulance Disaster Two Times), paintings (Botticelli’s Venus) and many other already existing and mythicized images. This operation of taking photos from mass-media is probably the most beaten road by the following artistic generation. In the Eighties the attention to this modalities grew so much that we could talk of a full-blown “archive impulse” or an “archive fever” as Hal Foster and Okwui Enwezor respectively defined this phenomenon.

Many contemporary artists all over the world are storming past and present photo, cinema and television as they feel the growing need to confront with a database of medial images. Giorgio Lupattelli’s works of art take their place in such a scenery. It is in fact since the Eighties that he has taken his first steps sketching what in the early Nineties would become his stylistic code. At first his search is characterized above all by painting. Then gradually he dedicates himself to sculpture, photo, video and now more and more to environmental installation where all the other disciplines live together. The artist investigates scrupulously contemporary man, the way his thought are developing, the technological devices he is using, or simply “where” he is going, as some years ago Lupattelli made clear in his paintings where the word “where” stood out clearly. Lupattelli’s challenge is that of collecting images and concepts apparently different, the union of which can produce new meanings. Duchamp and Warhol’s teaching are taken to the limit, the author is loosing more and more his role of creator in order to transform himself in a researcher of “meaningful structures”.

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