giorgiolupattelli
CRASH
1996. Galleria Il Ponte Contemporanea (ROMA)
... I corpi lucidi, la pelle liscia e levigata, la muscolatura tesa e dirompente, nascondono il loro limite. La saturazione di un decorativismo della superficie, prepara l'attesa del suo superamento. Il corpo non ostenta la propria bellezza; recita l'ultimo atto di un copione insostenibile. La pittura amplifica l'effetto, cattura un gesto, per provocare la sua più risonante espressione. C'è una dialettica che introduce l'enigma. Tra finzione e realtà lo scarto è ridotto al minimo, si confondono i territori ma la differenza permane. La finzione, attraverso la pittura, esaspera il dato reale, lo stravolge e lo consegna al suo contrario, attraverso un atto disgregatore: CRASH! Si disgrega, si frantuma, infatti, il corpo, nel momento in cui sembrava avesse raggiunto il massimo delle sue potenzialità fisiche. Si è introdotto un virus, un elemento che contamina, un evento che destabilizza. Forse non tutto era sotto controllo. Quasi manierista, Giorgio Lupattelli, (alla sua prima personale romana), si muove nell'esasperazione dei territori che attraversa. La pittura è usata come un mezzo per esaltare una formalizzazione di un'idea di corpo. Ma quell'idea, non è l'idea di Lupattelli. La pittura funziona come un attore tra altri, l'artista conduce la regia e controlla il racconto che si dissemina in più fasi. I video intervengono per svelare cosa c'è dietro le quinte: il dato reale, l'immagine di un corpo standardizzata dalla comunicazione mass-mediologica. Il corpo non è dunque creato, inventato: è il risultato di un sistema di dati, informazioni, nozioni, provenienti dal circuito comunicazionale...
Carla Subrizi
Intervista di Francesco Galluzzi a Giorgio Lupattelli (La Stanza Rossa. 1995)
Francesco Galluzzi - Qual'è il futuro della pittura - o il presente - nella società dell'immagine elettronica?
Giorgio Lupattelli - Non mi pongo il problema della vita o della morte della pittura, perché credo che il progresso non escluda quel che è avvenuto prima; semmai integra con nuovi mezzi le possibilità di espressione che un artista ha. Tutto dipende da cosa intendiamo per arte e artista. L'artista per me è colui che riesce a sintetizzare ciò che ha intorno a sé, sia da un punto di vista visivo culturale sociale e mentale, sia da un punto di vista strettamente formale; l'arte è sempre figlia del proprio tempo e del proprio luogo. La pittura esiste, e allora non vedo perché non debba essere utilizzata. Non la si può escludere soltanto perchè non è più “moderna". Il problema è piuttosto di ordine concettuale. Esplorare il campo di una pittura fine a sè stessa è un problema che appartiene al passato. Se la pittura è morta, lo è come fine, non come mezzo.
Io uso anche la pittura, ma non solo la pittura. La uso quando mi sembra opportuno, non ho un motivo preciso a priori per farlo. Nel mio lavoro certe volte riciclo delle immagini prese dall'universo della comunicazione, spesso parto da immagini molto conosciute come particolari di campagne pubblicitarie, altre volte mi invento le immagini da comporre ed elaborare. Se voglio usare un frammento fotografico di qualche centimetro preso da una rivista per fare un'opera di due metri, non posso farlo con la fotografia, devo farlo con la pittura. Inoltre ho più padronanza della pittura che di altri mezzi, E questo - strumentalmente - mi offre una gamma più ampia di possibilità di intervento. Inoltre, a differenza degli artisti che lavorano sulla comunicazione, io lavoro nella comunicazione, che è un concetto del tutto diverso. Gli artisti pop lavoravano sulla comunicazione, per intenderci, ma il discorso mi pare ormai superato. Non mi interessa criticare il sistema delle comunicazioni di massa, prendo semplicemente atto che quello è il sistema più efficace per comunicare e lo utilizzo. L'arte non può prescindere da questo, oggi. Io introduco dei concetti nelle comunicazioni di massa, non lavoro sul concetto di comunicazione di massa. Diventa pertanto importante anche il carattere ludico e scenografico di una immagine. Vivendo in una civiltà in cui la comunicazione avviene essenzialmente per immagini ed icone, se vuoi inserirti in questo sistema devi utilizzare le sue stesse strategie, proponendo immagini “accattivanti”. Non mi riferisco certo alla bellezza tradizionale; può funzionare anche un'immagine "brutta", ma bisogna che lo spettatore ne sia attratto. La pittura in questo senso ha una marcia in più, perché è sempre più attraente e spettacolare.
Buon ultimo è il tema dell'entropia, la morte delle cose, che è sempre presente nel mio lavoro. La creazione artistica è sempre un rifiuto della morte, l'artista si illude di raggiungere l'immortalità fissando se stesso nell'opera d'arte. Per me ha quindi rilievo anche il problema materiale della durata dell'opera, e la pittura ha un tempo di durata superiore a quello di qualsiasi altra forma di riproduzione, come la fotografia ,non è un aspetto secondario, anche se illusorio naturalmente...
F. Galluzzi - Mi sembra interessante che riguardo questi temi emerga, il tema della nostalgia pensando ad un uso dei materiali tratti dalle comunicazioni di massa che, scavalcando il pop-art, sembra riferirsi piuttosto all'atteggiamento che spingeva i primi cubisti verso il collage.
Giorgio Lupattelli - Quello della nostalgia è un problema relativo. la cultura degli anni sessanta e settanta era sempre critica verso qualcosa. Oggi quel modello di critica non serve più a nulla. Se uno spot pubblicitario ha più rilievo per la cultura di massa di qualsiasi opera d'arte, sarebbe assurdo pensare all'arte come protagonista dell'opposizione. L'opera può solo porre problemi, le risposte non competono all'arte ma a chi la vede. Criticare il sistema delle comunicazioni di massa sarebbe una partita persa in partenza; è molto più utile entrare in questo sistema. Non mi interessa il dato della manualità in sé, potrei far realizzare materialmente i miei lavori a qualcun' altro senza problemi (cosa che faccio con la fotografia ad esempio). La mia vera opera è il progetto, quel che va in mostra - il manufatto - non è altro che una delle tante possibili copie. Non a caso da una stessa immagine produco più lavori diversi, anche con tecniche diverse, pittura, fotografia, video, grafica... L'oggetto è solo per il mercato.
F. Galluzzi - Regis Debray, nel suo Vie et mort de l'image (Paris, Gallimard, 1992), distingue tre fasi nella storia del rapporto tra lo sguardo del fruitore e quella che chiamiamo convenzionalmente "opera d'arte", che indica come "logosfera, grafosfera, videosfera". Secondo lui nell'età della vídeosfera (la nostra), l'opera perde sempre più di pregnanza, progressivamente svuotata dall'ipertrofia delle immagini riprodotte, o prodotte, dalle macchine.
Giorgio Lupattelli - lo vengo da esperienze diverse rispetto a molti artisti, lavoro anche come grafico pubblicitario e immagini spesso demonizzate per me sono il pane quotidiano. Da parte mia, non mi pongo il problema dell'unicità dell'opera ma quello del linguaggio. Non creo mai quando dipingo, semmai riproduco un progetto. Piuttosto, nei miei progetti è centrale il disegno, che secondo me è la base di qualsiasi forma di creazione. L'aura è un concetto che fa ridere, la pittura per me è tecnica di riproduzione. Uno stesso progetto può essere realizzato contemporaneamente anche con mezzi diversi.
F.Galluzzi - Una frase di Georges Bataille mi sembra vicina all'atteggiamento che tanta parte della pittura del Novecento ha assunto nei confronti di uno dei codici più
fortunati della pittura, la prospettiva.- "Fisso un punto davanti a me e me lo rappresento come luogo geometrico di ogni esperienza e di ogni unità (..). E al tempo stesso è necessario spogliare quello che è lì dalle sue rappresentazioni esteriori, fino a che sia soltanto interiorità, caduta puramente interiore di un vuoto..." (L'esperienza interiore, Bari Dedalo, 1994). Oggi il problema sembra però
rovesciato. Filosofi che hanno avuto la loro influenza sulle arti visive, come Baudrillard o Perniola, parlano del nostro tempo come dell'epoca in cui tutto si rivolge in pura esteriorità, complici anche le trasformazioni della comunicazione portate dai nuovi media.
Giorgio Lupattelli - Il problema dell' indagine analitica sulla pittura mi pare esaurito da tempo. Dobbiamo confrontarci con quello della creazione in generale, anche al di là
dell'arte. Il "punto" di cui parla Bataille mi sembra così di poterlo identificare con il progetto, in cui puoi proiettare tutto e il contrario di tutto. La “Merda d'artista” di Manzoni diventa in quest'ottica l'opera paradigmatica della storia dell'arte: il risultato di quel che si è mangiato. L'arte è questo, il risultato di ciò che è entrato in noi attraverso la percezione ed è stato filtrato dalla nostra sensibilità e dalla nostra cultura.
Oggi gli impulsi più forti che riceviamo sono quelli di tipo comunicativo piuttosto che naturalistico. Ci impressionano un'immagine televisiva o un cartellone pubblicitario. Van Gogh veniva colpito dai girasoli nell'orto sotto casa, ma questo tipo di indagine è esaurita; Duchamp non è passato invano nella storia dell'arte.
clicca sulle immagini